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Precari con oltre 36 mesi di servizio: nuova sentenza a favore dei lavoratori della scuola

Stavolta è la Corte d’Appello di Trento a segnare l’inizio di una nuova settimana all’insegna della tutela dei lavoratori della scuola e a dare piena ragione ai docenti precari condannando l’Amministrazione scolastica per l’illegittima reiterazione di contratti a termine stipulati oltre i 36 mesi di servizio su posti vacanti e disponibili e per l’evidente discriminazione cui sono sottoposti i lavoratori a termine cui non viene riconosciuto il diritto a percepire le medesime progressioni stipendiali dei dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Le due sentenze, riconoscendo l’evidenza dell’abuso perpetrato dalla Provincia Autonoma di Trento nei confronti di due docenti per troppi anni assunti a termine su posti evidentemente vacanti e disponibili, ha deciso di respingere l’appello proposto dall’Amministrazione confermando le precedenti sentenze già emanate dal Tribunale di Rovereto in favore dei precari e al contestuale riconoscimento degli scatti di anzianità mai percepiti dai ricorrenti condannando, anche, la PAT al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Le due sentenze risultano, infatti, granitiche nel contestare le tesi della Provincia Autonoma, confermando senza ombra di dubbio come “la durata dei contratti, la sistematica reiterazione e il fatto che sono stati ripetuti presso gli stessi istituti scolatici e per la stessa materia depongono univocamente per l’esistenza di esigenze permanenti soddisfatte con un uso sistematico del contratto a termine e quindi per l’abuso”.

I Giudici della Corte d’Appello trentina, inoltre, tengono a evidenziare come “E’ infondata anche la pretesa di applicare nella determinazione degli scatti di anzianità il contratto collettivo del 2011 (primo scatto utile al nono anno) e non la normativa contrattuale in vigore nel corso dei vari rapporti succedutesi nel tempo: è l’ennesima riproposizione della identica tesi difensiva fondata sulla non equiparabilità del personale a tempo determinato con quello a tempo indeterminato. Sennonché una volta statuito che il trattamento economico collegato all’anzianità non è fondato su ragioni oggettive che giustifichino la disparità di trattamento e, dunque, viola la clausola 4 della direttiva, ne segue che l’equiparazione implica che l’anzianità debba essere valutata nello stesso modo e con gli stessi criteri per il personale in ruolo e per il personale non di ruolo, secondo la disciplina applicabile e applicata nel tempo al personale di ruolo”.

“Come avevamo previsto – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – i tribunali continuano a darci ragione e confermano che la valutazione dell’anzianità nei confronti dei precari è un atto dovuto da concretizzare secondo la disciplina in vigore man mano che viene maturata con i contratti a termine. Il nostro sindacato ha già avviato una petizione specifica presso il Parlamento UE, alla Cedu e anche al Comitato Europeo dei diritti sociali proprio per ribadire che il lavoro con contratti a termine deve, finalmente, avere il giusto riconoscimento ed essere equiparato a quello di ruolo nel pieno rispetto delle normative eurounitarie”.

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